OGGETTO: Re: Equazioni o algoritmi?...Del marketing
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Quella dei cantastorie è una tradizione che si perde nella notte dei tempi. Musici del popolo da sempre hanno fatto della narrazione di storie vere od inventate pane quotidiano.
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La figura del cantastorie, solo a brevi tratti è assimilabile e paragonabile a quella del cantautore.
Il cantastorie, tramite le sue mete itineranti, assolveva alla funzione di diffusore di notizie all'interno di una società ancora non incline, per povertà di mezzi ed intenti, all'informazione di massa; così, ispirandosi alla realtà, musicava le sue storie, romanzandole secondo ben precise esigenze sceniche; la trasmissione delle esperienze era, spesso, esclusivamente orale e tipicamente si tramandava da padre in figlio.
Il cantautore, figura moderna, sviluppa attraverso un'evoluzione di qualche decennio ambizioni da artista; non si limita a comunicare sensazioni, ma studia per relazionare perfettamente musiche e parole, non limitandosi ad accoppiarli, ma rendendoli interdipendenti secondo regole assimilabili a modelli matematici.
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Mi trovi d'accordo solo in parte o meglio sole se concordi con me che
solo oggi, la canzone ha assunto lo squallido ruolo di "prodotto". L'esperienza degli anni 70, che si collocava sullo sfondo dell'egemonia esercitata dalle case discografiche (i veri parassiti) ci ricorda che la musica "del popolo" è sempre stata prima di tutto necessità di espressione. A rovinare tutto come sempre è giunta la sete di guadagno.
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Di frequente uso la parola "prodotto", in riferimento al lavoro dei cantautori, perché solitamente è frutto della collaborazione di una vera equipe che utilizza regole simili ad altre forme di comunicazione; l'abbilità spesso consiste nella capacità di saperle applicare al contesto sociale e culturale di riferimento.
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(Sono tanti gli esempi di cantautori italiani, giusto per muoverci nel nostro
ambito, che hanno fatto del limite fisico, che la natura gli ha imposto, una peculiarità tale che li ha proiettati alla ribalta. La musica leggera non ha l'ambizione di fare "arte pura", ma di comunicare con qualsiasi mezzo, anche il meno ortodosso.) Puoi chiarirmi questo concetto ?
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Consideriamo l'incisività con cui un cantautore del calibro di Lucio Battisti si è imposto nel panorama musicale italiano, fino a ridefinirne alcuni tra i più importanti canoni del linguaggio moderno italiano; in particolare soffermiamoci su due punti ben precisi: le sue caratteristiche vocali e le scelte musicali. Le capacità vocali di Battisti sono oggettivamente limitate, eppure di quella voce non limpida, tonalmente poco estesa, ne ha fatto una forza espressiva, perché facendo vibrare le corde vocali in modo tecnicamente poco corretto invece è riuscito ad essere estremamente comunicativo, in quanto diretto, più vicino alla nostra realtà di ogni giorno; direi che è sceso dal piedistallo che, invece, sostiene i cantanti lirici.
La sua musica a tratti è scarna, eppure estremamente attuale e godibile, in quanto l'ha spogliata di tutte le componenti tipiche delle mode contingenti, consentendole di solcare i confini del suo tempo tramite l'utilizzo di un linguaggio che fonda la sua forza nella semplicità, non confinabile in un solo contesto.
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Io penso che tale concetto possa valere solo per il decennio appena
trascorso. Quello di transizione, quello degli anni 80 per intenderci è riuscito a
produrre qualcosa di buono soltanto tra l'84 e l'88. Circa l'algoritmo di cui parli credo che appartenga più al mondo del marketing che della canzone.
E' anche vero che esistono al mondo persone che sanno endersi anche da sole ma restano casi isolati.
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Il nocciolo della questione è proprio questo, in quanto non è possibile scindere il mondo della canzone da quello del marketing, sono perfettamente complementari e si intersecano in intenti comuni.
Cantautori che hanno seguito il proprio percorso artistico, scorporandolo dalle logiche di mercato, sono veramente pochi, e, tra questi, prenderei ancora ad esempio Lucio Battisti, o almeno il Lucio della seconda fase, quello più maturo e schivo.
Da notare che Battisti ricorre in più di un mio esempio, e non è affatto casuale, di sicuro è una figura cardine della canzone italiana.
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Conta l'intensità dell'emozione che si riesce a far propria attraverso l'ascolto di una canzone. Il concetto di vero o falso è relativo come non assoluto è quello del "maggiore" o "minore". Siamo noi a dar peso ad un uomo o ad un concetto.
Siamo noi a stabilire il "prezzo" delle nostre emozioni.
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Considero un'arte "vera" o "falsa" utilizzando un solo parametro: il movente, cioè quanto sia stato sincero l'artista nel concepirla diversificando, quindi, un prodotto funzionale a logiche esterne, rispetto alla libera espressione di se stesso e del mondo che lo circonda.
Con "maggiore" o "minore" indico ciò che normalmente viene usato per distinguere, ad esempio, musica classica da leggera, o pittura da fotografia. Concordo con te, quindi, nel sostenere che in senso assoluto non è possibile dividere ciò che è maggiore da ciò che è minore, se mai esistesse tale distinzione.
ombra
Quella dei cantastorie è una tradizione che si perde nella notte dei tempi. Musici del popolo da sempre hanno fatto della narrazione di storie vere od inventate pane quotidiano.
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La figura del cantastorie, solo a brevi tratti è assimilabile e paragonabile a quella del cantautore.
Il cantastorie, tramite le sue mete itineranti, assolveva alla funzione di diffusore di notizie all'interno di una società ancora non incline, per povertà di mezzi ed intenti, all'informazione di massa; così, ispirandosi alla realtà, musicava le sue storie, romanzandole secondo ben precise esigenze sceniche; la trasmissione delle esperienze era, spesso, esclusivamente orale e tipicamente si tramandava da padre in figlio.
Il cantautore, figura moderna, sviluppa attraverso un'evoluzione di qualche decennio ambizioni da artista; non si limita a comunicare sensazioni, ma studia per relazionare perfettamente musiche e parole, non limitandosi ad accoppiarli, ma rendendoli interdipendenti secondo regole assimilabili a modelli matematici.
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Mi trovi d'accordo solo in parte o meglio sole se concordi con me che
solo oggi, la canzone ha assunto lo squallido ruolo di "prodotto". L'esperienza degli anni 70, che si collocava sullo sfondo dell'egemonia esercitata dalle case discografiche (i veri parassiti) ci ricorda che la musica "del popolo" è sempre stata prima di tutto necessità di espressione. A rovinare tutto come sempre è giunta la sete di guadagno.
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Di frequente uso la parola "prodotto", in riferimento al lavoro dei cantautori, perché solitamente è frutto della collaborazione di una vera equipe che utilizza regole simili ad altre forme di comunicazione; l'abbilità spesso consiste nella capacità di saperle applicare al contesto sociale e culturale di riferimento.
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(Sono tanti gli esempi di cantautori italiani, giusto per muoverci nel nostro
ambito, che hanno fatto del limite fisico, che la natura gli ha imposto, una peculiarità tale che li ha proiettati alla ribalta. La musica leggera non ha l'ambizione di fare "arte pura", ma di comunicare con qualsiasi mezzo, anche il meno ortodosso.) Puoi chiarirmi questo concetto ?
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Consideriamo l'incisività con cui un cantautore del calibro di Lucio Battisti si è imposto nel panorama musicale italiano, fino a ridefinirne alcuni tra i più importanti canoni del linguaggio moderno italiano; in particolare soffermiamoci su due punti ben precisi: le sue caratteristiche vocali e le scelte musicali. Le capacità vocali di Battisti sono oggettivamente limitate, eppure di quella voce non limpida, tonalmente poco estesa, ne ha fatto una forza espressiva, perché facendo vibrare le corde vocali in modo tecnicamente poco corretto invece è riuscito ad essere estremamente comunicativo, in quanto diretto, più vicino alla nostra realtà di ogni giorno; direi che è sceso dal piedistallo che, invece, sostiene i cantanti lirici.
La sua musica a tratti è scarna, eppure estremamente attuale e godibile, in quanto l'ha spogliata di tutte le componenti tipiche delle mode contingenti, consentendole di solcare i confini del suo tempo tramite l'utilizzo di un linguaggio che fonda la sua forza nella semplicità, non confinabile in un solo contesto.
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Io penso che tale concetto possa valere solo per il decennio appena
trascorso. Quello di transizione, quello degli anni 80 per intenderci è riuscito a
produrre qualcosa di buono soltanto tra l'84 e l'88. Circa l'algoritmo di cui parli credo che appartenga più al mondo del marketing che della canzone.
E' anche vero che esistono al mondo persone che sanno endersi anche da sole ma restano casi isolati.
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Il nocciolo della questione è proprio questo, in quanto non è possibile scindere il mondo della canzone da quello del marketing, sono perfettamente complementari e si intersecano in intenti comuni.
Cantautori che hanno seguito il proprio percorso artistico, scorporandolo dalle logiche di mercato, sono veramente pochi, e, tra questi, prenderei ancora ad esempio Lucio Battisti, o almeno il Lucio della seconda fase, quello più maturo e schivo.
Da notare che Battisti ricorre in più di un mio esempio, e non è affatto casuale, di sicuro è una figura cardine della canzone italiana.
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Conta l'intensità dell'emozione che si riesce a far propria attraverso l'ascolto di una canzone. Il concetto di vero o falso è relativo come non assoluto è quello del "maggiore" o "minore". Siamo noi a dar peso ad un uomo o ad un concetto.
Siamo noi a stabilire il "prezzo" delle nostre emozioni.
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Considero un'arte "vera" o "falsa" utilizzando un solo parametro: il movente, cioè quanto sia stato sincero l'artista nel concepirla diversificando, quindi, un prodotto funzionale a logiche esterne, rispetto alla libera espressione di se stesso e del mondo che lo circonda.
Con "maggiore" o "minore" indico ciò che normalmente viene usato per distinguere, ad esempio, musica classica da leggera, o pittura da fotografia. Concordo con te, quindi, nel sostenere che in senso assoluto non è possibile dividere ciò che è maggiore da ciò che è minore, se mai esistesse tale distinzione.
ombra
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