Saturday, September 20, 2003

20 Settembre 2003

Oblio
mesto candore
dietro querce smemore
d’oboli umani,
quando pervade la mente
la quiete d’obbligo
atterra e ci china,
riversa uno sguardo silente
e batte l’infame tocco della disfatta,
noi s’innalza a condono il capo
e d’ogni tetro si ricade spioventi
siamo fango giù dal colare
e allora ci innalziamo furenti
scagliati tra destino e fato
sferziamo il colpo, nell’effigie suadenti.


Manilo

(da: Il Club del Sabato)

Friday, September 19, 2003

Mi concentro, sto fermo, buono e tranquillo, chiudo queste quattro linee, mura d'una stanza dopo bordate da lenire. Il massimo dell'intimo si sarebbe stato l'altra stanza, la precedente, tant'è che lì nel pieno di processi eputarivi si compiono i maggiori estri d'arte. Silenzio profondo e meditabondo, angolo franco imperscrutabile, luogo alto nelle basseze umane. Ma ho ritratto il fiato in un sol colpo, e al centro ho scrutato gli angoli, quattro, ma novanta nei gradi. C'è freddo, forse manca il clima, Pietro, per ora mi stendo, poi non so, vedremo.


da: Il Club del Sabato

Sunday, September 14, 2003

14 Settembre 2003

Gesso.

Questo gesso tra le mani
conservo,
colori in maschera
di forme incerte;
uno sguardo dipinto
che s’agita e riprende.
I lobi odono
tenzoni certe ai due,
forte tu, e non lo mostri
sei, e ti ho visto.
Ergiti, basta un guizzo
poca polvere
ma non aspetto cenni,
l’oltreverso solo immortale.
Guidami,
taciturno cerco scarne voci
nel solco di illusioni
e avi al mio cospetto
dove volgo ogni dì incerto.


Manilo Busalacchi

Saturday, September 13, 2003

Craving

Tra la summe è la summa. Ma sto indagando il sol pensiero. Di altro non si disserta, questa trincea mi vede assorto. Accumuliamo sabbia per costruire castelli labili al tempo, aggiungiamo acqua per consolidare ciò che è destinato a svanire. Disillusi, non ci fermiamo, sfaldiamo l’arenile e formiamo cumuli con cui imbottire sacchi per creare argini davanti ogni finestra; poi cerchiamo l’arma e apostrofiamo l’armato. “Dopo le grandi tragedie finiamo sempre per soffiarci il naso”.

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Carità

In ciò che mi mossi non ho chiesto il perché. Da porta a porta il corso d’acqua ridiscende ancora.. Quello che immoliamo all’istante scompare infausto. Dietro tutto c’è un’effige sfigurata in cui il bello è la parvenza in mostra. Celo perché poco importa il visibile, cerco codici per capire e buche per proteggere il pudore. Ogni mano tesa ha il suo carnefice; ogni braccio proteso ha un losco intento. Non v’è aria che costringe lo sguardo, su questo scarno principio ci potremmo basare.

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Speranza

Quella che un dì trasudava dalla faccia di mille avventori; tradita, ma lo sapevamo già, oltraggiata, ma in ciò ci siamo armati e resistiamo. Per eccesso di prudenza non ci osserviamo, a volte tardano anche le parole e a qualunque confronto risultiamo immuni, perché puri sconosciuti. Io so, però, quanti sono, e quali: semplici, timide presenze, sciatte; forti, però, coriacei garantiti dalla vita che nostro malgrado ci ha forgiati. In sonno scrivo, le mia braccia sorreggono la mente, che non si sfalda.

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Fede

Oppresso, perché aspetto ma non attendo. Che non si capisca l’inverso. In cosa, e perché, trascendere? Aspetto Damocle e spada come l’ultimo dei miei momenti, come fosse il più bello, come se fosse niente o a volte i sogni. Sperare, ma a polvere asciutta, come vuole la saggezza dell’ebreo. Non cerco vie di fuga nei gironi infernali: esistono, meglio andare oltre per non restare rena d’Acheronte. Assieme, tutti, una mano o una parole, questo, Forse…

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Pigrizia

Perché se nell’uno v’è tutto, in ciò sta l’universo; che scorre verso l’uno e stride verso l’infinito, suo acerrimo nemico. L’acqua è memoria, e i gorghi, i moti d’onde, sono sperdenti. Battelli ebri, sperdiamo i bardotti, perdiamo coscienza adagiando membra per carpire l’oltre. Esausti inermi, come pochi, come tutti. Ciò che ha stremato la mente è lento e vizioso, non c’è corpo altrettanto debole, né parabole a conforto. Dovrei spiegare, alcuni aspettano il sorriso; io non ho tempo: sorbisco una marea.

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Golosità

Famelico quando odo il transito, della Sua voce, di piccoli gesti, così che inosservando qualcuno sorride e io simulo per riguadagnarmi. Fagocito, a volte tasti o parole, ma più spesso silenzi incontrollabili. Progetto, pianifico, come ogni umano, e sono bravo, e organizzo, ma i silenzi incombono, quelli arrivano; e faccio incetta, a volte; altre vorrei sfuggirvi, affrancarmi. Ho imparato a convivere con ogni anima silente; ho capito, e devo aspettare.

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Lussuria

Ogni giorno un po’, forse per sfidare il Fato o per sentirsi umani a latere. Ciò che ci assimila alla terra, o ad animali con proboscide e unicorno, questo, ci rende immortali, perché il sol soldo d’un minuto è l’otre suadente d’un esistenza. Difficile, crederlo o pensarlo, perché siamo maschere e modelli, come dire uomini e donne, e a questo dobbiamo attenerci come il ritmo nella musica o le tegole che sempre ridiscendono. Io che tendo, ma so dell’infido come del soave, vorrei sciogliermi e divenire scroscio d’acque.

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Ira

Perché piccoli siamo e d’eco amiamo apparire. Grandi come macigni di cartapesta, alziamo il grido a un cielo incombente. Così ci carichiamo d’impeto e traiamo merito dal nostro ego. Eserciti silenti costretti a simulare per rivendicare l’esistenza, per non essere travolti dal numero e dal suo calcolo. Oltre cinte di pietra sorda aleggiano passioni caduche, oltraggiate dalla vita, da suoni e rombi di motori potenti. Rendimi chino Tempo, per abbracciarne un orda e sentirne le magre ossa!

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Invidia

Chi può, chi non sa, chi non ne ha voglia, chi potrebbe; osservo tutti e mi rivedo altrove. Non sono dove vorrei ne dove non vorrei essere; è quest’essere latente che annichilisce e che ogni dì porta altrove pur non muovendo un passo. Non bramo, perché questa è selva, è luogo oscuro e mero cammino per ogni operoso destino, cosciente o meno che sia. L’unico è Dio, spettatore indolente delle nostre danze, il solo riverso nell’alto del nostro baratro, detrattore d’intenti, per cui motore del tempo e delle sue finzioni.

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Avarizia

Non dispenso, tengo per me magie e fantasie; che certe luci possa ricordarle e mai rimpiangerle spente. Nelle segrete dei pensieri si lavora forzati dell’anima, costretti da colpe ancestrali alla catarsi . Non ci sono notti, solo logorii lenti e insensati; e lo svegliarsi e sorridere di poche righe e un sembiante incipit. Non c’è scherno, solo compiacimento, nemmeno scuro e propensioni. Affogo, a volte, ma non caccio mai l’urlo, quello che qualcuno aspetta da tempo e che codardo custodisco.

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Superbia

E non trovo, e non ritrovo; forse gli occhi sono mutati. I processi, le culture, si sono alternate e mi ritrovo altrove ad osservare distante ogni movenza, e tra esse anche quella mal celata dell’immobilità. Uno specchio per osservarmi e per sbirciare riflessa un’immagine che drena da una finestra, attigua come tutto quello che sta di fronte. Svicolo e muto pelle per sopravvivere; distante piango orme regresse e sfaldate nel fango povero d’acqua e polverizzato da fronde d’aria.

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da: Il Club del Sabato

Monday, September 08, 2003

08 Settembre 2003.

Transito.

S’apre
e sperando s’attende,
voltato il risvolto
il transito emerge,
quanti migrano
tra corse e fiori
spersi all’incrocio
di pali e luci
in file immaginate
che s’odono
ai fianchi di fronde e croco.

Manilo Busalacchi