Saturday, September 13, 2003

Craving

Tra la summe è la summa. Ma sto indagando il sol pensiero. Di altro non si disserta, questa trincea mi vede assorto. Accumuliamo sabbia per costruire castelli labili al tempo, aggiungiamo acqua per consolidare ciò che è destinato a svanire. Disillusi, non ci fermiamo, sfaldiamo l’arenile e formiamo cumuli con cui imbottire sacchi per creare argini davanti ogni finestra; poi cerchiamo l’arma e apostrofiamo l’armato. “Dopo le grandi tragedie finiamo sempre per soffiarci il naso”.

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Carità

In ciò che mi mossi non ho chiesto il perché. Da porta a porta il corso d’acqua ridiscende ancora.. Quello che immoliamo all’istante scompare infausto. Dietro tutto c’è un’effige sfigurata in cui il bello è la parvenza in mostra. Celo perché poco importa il visibile, cerco codici per capire e buche per proteggere il pudore. Ogni mano tesa ha il suo carnefice; ogni braccio proteso ha un losco intento. Non v’è aria che costringe lo sguardo, su questo scarno principio ci potremmo basare.

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Speranza

Quella che un dì trasudava dalla faccia di mille avventori; tradita, ma lo sapevamo già, oltraggiata, ma in ciò ci siamo armati e resistiamo. Per eccesso di prudenza non ci osserviamo, a volte tardano anche le parole e a qualunque confronto risultiamo immuni, perché puri sconosciuti. Io so, però, quanti sono, e quali: semplici, timide presenze, sciatte; forti, però, coriacei garantiti dalla vita che nostro malgrado ci ha forgiati. In sonno scrivo, le mia braccia sorreggono la mente, che non si sfalda.

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Fede

Oppresso, perché aspetto ma non attendo. Che non si capisca l’inverso. In cosa, e perché, trascendere? Aspetto Damocle e spada come l’ultimo dei miei momenti, come fosse il più bello, come se fosse niente o a volte i sogni. Sperare, ma a polvere asciutta, come vuole la saggezza dell’ebreo. Non cerco vie di fuga nei gironi infernali: esistono, meglio andare oltre per non restare rena d’Acheronte. Assieme, tutti, una mano o una parole, questo, Forse…

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Pigrizia

Perché se nell’uno v’è tutto, in ciò sta l’universo; che scorre verso l’uno e stride verso l’infinito, suo acerrimo nemico. L’acqua è memoria, e i gorghi, i moti d’onde, sono sperdenti. Battelli ebri, sperdiamo i bardotti, perdiamo coscienza adagiando membra per carpire l’oltre. Esausti inermi, come pochi, come tutti. Ciò che ha stremato la mente è lento e vizioso, non c’è corpo altrettanto debole, né parabole a conforto. Dovrei spiegare, alcuni aspettano il sorriso; io non ho tempo: sorbisco una marea.

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Golosità

Famelico quando odo il transito, della Sua voce, di piccoli gesti, così che inosservando qualcuno sorride e io simulo per riguadagnarmi. Fagocito, a volte tasti o parole, ma più spesso silenzi incontrollabili. Progetto, pianifico, come ogni umano, e sono bravo, e organizzo, ma i silenzi incombono, quelli arrivano; e faccio incetta, a volte; altre vorrei sfuggirvi, affrancarmi. Ho imparato a convivere con ogni anima silente; ho capito, e devo aspettare.

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Lussuria

Ogni giorno un po’, forse per sfidare il Fato o per sentirsi umani a latere. Ciò che ci assimila alla terra, o ad animali con proboscide e unicorno, questo, ci rende immortali, perché il sol soldo d’un minuto è l’otre suadente d’un esistenza. Difficile, crederlo o pensarlo, perché siamo maschere e modelli, come dire uomini e donne, e a questo dobbiamo attenerci come il ritmo nella musica o le tegole che sempre ridiscendono. Io che tendo, ma so dell’infido come del soave, vorrei sciogliermi e divenire scroscio d’acque.

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Ira

Perché piccoli siamo e d’eco amiamo apparire. Grandi come macigni di cartapesta, alziamo il grido a un cielo incombente. Così ci carichiamo d’impeto e traiamo merito dal nostro ego. Eserciti silenti costretti a simulare per rivendicare l’esistenza, per non essere travolti dal numero e dal suo calcolo. Oltre cinte di pietra sorda aleggiano passioni caduche, oltraggiate dalla vita, da suoni e rombi di motori potenti. Rendimi chino Tempo, per abbracciarne un orda e sentirne le magre ossa!

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Invidia

Chi può, chi non sa, chi non ne ha voglia, chi potrebbe; osservo tutti e mi rivedo altrove. Non sono dove vorrei ne dove non vorrei essere; è quest’essere latente che annichilisce e che ogni dì porta altrove pur non muovendo un passo. Non bramo, perché questa è selva, è luogo oscuro e mero cammino per ogni operoso destino, cosciente o meno che sia. L’unico è Dio, spettatore indolente delle nostre danze, il solo riverso nell’alto del nostro baratro, detrattore d’intenti, per cui motore del tempo e delle sue finzioni.

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Avarizia

Non dispenso, tengo per me magie e fantasie; che certe luci possa ricordarle e mai rimpiangerle spente. Nelle segrete dei pensieri si lavora forzati dell’anima, costretti da colpe ancestrali alla catarsi . Non ci sono notti, solo logorii lenti e insensati; e lo svegliarsi e sorridere di poche righe e un sembiante incipit. Non c’è scherno, solo compiacimento, nemmeno scuro e propensioni. Affogo, a volte, ma non caccio mai l’urlo, quello che qualcuno aspetta da tempo e che codardo custodisco.

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Superbia

E non trovo, e non ritrovo; forse gli occhi sono mutati. I processi, le culture, si sono alternate e mi ritrovo altrove ad osservare distante ogni movenza, e tra esse anche quella mal celata dell’immobilità. Uno specchio per osservarmi e per sbirciare riflessa un’immagine che drena da una finestra, attigua come tutto quello che sta di fronte. Svicolo e muto pelle per sopravvivere; distante piango orme regresse e sfaldate nel fango povero d’acqua e polverizzato da fronde d’aria.

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da: Il Club del Sabato

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