(Email a Diario del 12 Maggio 2002)
L'ora di Giovanni Falcone.
Vento. Un alito insistente che sinuoso s'infiltra in ogni dove. E' questo il ricordo, residuo vischioso e continuo logorio. Ero giovane e disincantato e d'un tratto, solo uno, mi sono ritrovato sbalzato e chino, ricurvo nella senilità delle ingenuità. Via Roma, a Palermo, è inesorabilmente uguale a se stessa da quei secoli che transitano per i costumi d'un popolo prime che dalla storia. Non fosse per quell'incedere stolto d'auto, motocicli e corriere stanche, che nel rombo testimoniano l'oggi, si potrebbe apporre l'eterna immagine dello stantio passeggiare di bottegai e casalinghe dalle mani gonfie di borsette ricolme d'ortaggi e d'altro discese dai mercati di Ballarò e della Vucciria, in se scenario, metafora ed emblema di una sicilianità vera.
Avevo appena svoltato, avevo apposto le spalle a quel palazzo delle ferrovie che da sempre è emblema di sogni in partenza e monito d'una realtà contorta che li vuole l'approdo stremato di ogni speranza. Non so perché ero li, ne mai più da li innanzi l'avrei immaginato, stavo semplicemente come mille altre volte, e per milioni d'altri, costeggiando la prima edicola che rasente la strada lambisce ogni passante. Ricordo una voce, ricordo una radio, era una voce concitata che pressappoco recitava "attentato in autostrada, Falcone e i suoi sono rimasti vittime di un attentato".
Quell'aria, quell'alito tiepido, ma con la capacità di bruciar dentro, mi sospesero in un attimo che ancora dura e si rinnova. Sento ancora le ossa riseccarsi, la strada svanire, i ronzii alienarsi e i mie passi che vagano.
No, non capii subito cosa successe, non capii subito perché, non capii e basta, rifiutai, questo si, solo. Avete mai sentito una voce enunciare "messo in croce Gesù", no, non so chi mai l'ha sentito. Mi si consenta l'azzardo, quel giorno per il mio esile essere questo era successo. Falcone, Falcone, Falcone. L'emblema di una speranza, di una possibilità, di un sogno, ultimo e arduo vessillo prima della disfatta.
Ora, infatti, la disfatta; come mai avrei voluto accadesse, a cui mai avrei voluto sopravvivere per raccontarla. Ricordo, purtroppo, voci di campo: "se l'è cercata", o, in quella chiesa di pietra, l'omelia del cardinale: "mentre a Roma si parla Sagunto viene espugnata". No! Roma? Sagunto? Ma cosa dici, a "Roma" egregio cardinale c'eri anche tu, e impassibile discutevi e disertavi, ma nel tuo cuore non c'era "Sagunto", la nostra Palermo, no, e non c'è mai stata.
Un grido, un tentativo d'evasione, le voci, i politici, la gente, le televisioni e i giornali. So solo che oggi porto una traccia che è un solco nell'anima, e, che se solo un respiro mi rimarrà, lì abiterà Falcone perché in lui e con lui viveva Palermo.
Dopo dieci anni, dopo un secolo, ci si prepara a ricompiere l'eccidio, a dilaniare financo il ricordo che in tanti, come in me, è rimasto indelebile. Mafia e mafiosi affrancati, delitti ora quasi divenuti imprese, lo Stato pronto a trattare. I boia che Falcone inchiodò in cella pronti all'uscita perché sta per essere rinnegato è il principio più importante che egli stesso introdusse in materia dell'imputazione delle responsabilità: un mafioso deve essere giudicato in base ai reati diretti e indiretti, dato che ne era il mandante e dato che non poteva che essere consenziente.
Da domani se un boss non ha compiuto direttamente alcun omicidio, o se alcuna responsabilità diretta verrà accertata, avrà la stessa dignità di ogni altro libero cittadino. Che il delitto l'abbia ordinato, e che, insieme a tanti altri, ha tenuto in schiavitù un popolo non ha importanza.
Non ci sto, non posso starci, non posso essere complice dell'eccidio ricompiuto di Giovanni Falcone. Lotterò caro Paese, con l'arma del dialogo, dei sentimenti. Mi opporrò in ogni modo, e in ogni luogo e mai e poi mai farò terrorismo perché voglio,
cara cultura reietta, cara destra insulsa, caro Presidente del consiglio, guardarvi nelle glaciali facce, quando vorrò scatenarvi la forza della ragione, dei ricordi e del sangue che già è colato a fiumi. E noi, caro Paese degli uomini coscienti e di coscienza, facciamola finita con i tiepidi accenti e i toni da talk show.
E' l'ora di Giovanni Falcone, quel momento che nessuno potrà usurpare.
Manilo Busalacchi
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